«Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò».
(Gv 20,5)
Ancora una volta ci viene incontro il mistero pasquale. La domenica dopo il primo plenilunio di primavera risuonano le campane di tutte le comunità cristiane per annunciare al mondo che Cristo è risorto e noi ne siamo i testimoni. Ed infatti, ciò che le nostri mani hanno toccato, ciò che i nostri occhi hanno visto – diceva l’apostolo Giovanni – questo annunciamo a voi. Poiché la Parola si è fatta carne, la carne ha conosciuto il dolore e la morte, ma per la sua fedeltà la carne è diventata strumento di salvezza, esplosione di vita. E di tutto questo anche noi, che viviamo di fede, abbiamo visto e toccato con mano, la forza e la luce del mistero della risurrezione.
Tutto ciò fonda razionalmente la nostra speranza e quella di chi come noi crede nell’amore di Dio che è Padre misericordioso, lento all’ira e grande nell’amore. Non è sciocca ne vana infatti la nostra speranza perché si fonda sulla testimonianza oculare di primi testimoni e la loro testimonianza è tanto più attendibile quanto generosa e cruenta è stata la loro attestazione: essi hanno testimoniato sino alla morte ciò che hanno visto e toccato con mano.
Ma cosa è successo in quel sepolcro nuovo quel mattino dopo il sabato? Non lo sappiamo. Sappiamo solo che era morto ed è tornato alla vita. E’ un mistero, certo. Ma è comunque qualcosa che possiamo intuire e interrogare. Per questo esso si è rivelato, e di anno in anno continua a riproporsi a noi, e attraverso di noi anche al mondo.
L’uomo è prezioso agli occhi del Signore. E’ mistero della fede che sostiene la speranza, ma prima ancora esso è mistero dell’amore. Ed è proprio l’amore la chiave di lettura e lo strumento indispensabile per accedere a questo mistero di vita vera ed eterna, di comunione e di gioia. Era morto ed è tornato alla vita. Era deposto in un sepolcro ed è stato rimesso in piedi: risorto, cioè rimesso in piedi. Questo significa che la risurrezione non è compito nostro ma di Dio. Non siamo noi che ci rialziamo dalla morte, è Lui che ci rimette in piedi. Il nostro compito? La fedeltà alla Parola ricevuta! Il resto dipende da Lui: Signore del cielo e della terra, dei vivi e dei morti. Nel mistero però si entra gradualmente e secondo una dinamica ben chiara e distinta.
Innanzitutto, davanti al mistero ci si china. Non si può essere arroganti né presuntuosi di comprendere tutto e subito. Il mistero per essere compreso necessita di umiltà, e l’umiltà è la coscienza dei propri limiti. A che cosa è servita la quaresima se non a prendere coscienza dei nostri limiti? Per comprendere dobbiamo spogliarci dei limiti imposti dalla nostra ragione. E’ necessario cioè andare oltre la ragione e lasciare spazio all’amore. La quaresima è stata ben vissuta se ci siamo convinti che il mistero della vita è innanzitutto il mistero dell’amore. E l’amore si comprende con l’amore. E’ frutto della ragione che noi viviamo in Dio e siamo meritevoli di ira perché veniamo meno al nostro impegno di fedeltà. Ma è soltanto frutto dell’amore che Egli non ci abbandona mai e ci permette di ritornare alla vita trasformando la debolezza della carne in un’occasione di vita eterna.
Chi può comprendere ciò? Solo chi si china davanti al sepolcro vuoto. Chi è disposto ad aprire la propria mente alle ragioni dell’amore, e non si scandalizza di Gesù Crocifisso e abbandonato. Le bende sono per terra, esse appartengono alla terra. Esse non sono solo il segno della sofferenza, ma anche il segno della compassione e dell’amore. Esse parlano di qualcuno che si è preso cura delle sofferenze di un altro. Sono li per terra a suggerire al giovane Giovanni, il significato di quanto è accaduto quella
Giovanni vide le bende e comprende che l’amore è più forte della morte. Colui che si è preso cura di noi, fino alla morte, ha saputo toccare il cuore di tanti e suscitare in essi il desiderio di amare a loro volta. Il Maestro della Galilea, il Figlio del Dio vivente, nella sua vita terrena ha saputo mettere in moto un dinamismo di amore scambievole e gratuito. Questo per Lui è il cuore della legge: l’amore verso Dio e verso il fratello, qui ed ora.
Le bende sono per terra ma parlano di cielo. Ecco svelato il mistero. Ed è comprensibile solo da chi conosce ed accetta i propri limiti. Cosa vuol dire accettare i propri limiti? Vuol dire lasciarsi bendare le ferite. Vuol dire cioè lasciarsi amare. E lasciarsi amare vuol dire permettere che qualcun altro gestisca il nostro dolore e i nostri bisogni. Ma per noi che crediamo vuol dire abbandonarsi a Dio che ci viene incontro e si prende cura di noi attraverso qualcun altro. Il più delle volte inatteso.
Quanta umiltà occorre per questo! Lasciarsi amare, non è semplice, ma è molto bello. E’ umiliante, e allo stesso tempo esaltante. E’ per questo che a volte le parole non riescono ad esprimere le emozioni che una tale esperienza può suscitare. La parola dunque lascia il posto alle lacrime.
Quante cose che ci vogliono dire quelle bende per terra, eppure Giovanni non entra nel sepolcro. Attende l’arrivo di Pietro. Se le bende ci parlano dell’amore di Dio e dei fratelli, Giovanni ci vuol dire che l’amore si rivela come autentico solo attraverso il rispetto altrui. Non esiste alcun amore vero se non nel rispetto. Il rispetto è una parola presa in prestito dal latino e significa “guardare”.
Il rispetto dunque è avere coscienza di chi o cosa ci sta davanti. Il rispetto è stimare, ossia attribuire un valore, ed essere disposti a pagare un prezzo per chi ci sta davanti. Questo non significa comprare l’altro, ma riconoscere che egli ha in sé un valore. Gesù ha avuto rispetto per l’uomo, lo ha stimato degno di morire per lui, come ci ricordano le bende per terra.
Durante il mese di aprile vivremo i riti della settimana santa, ed inizieremo i cinquanta giorni del tempo pasquale. Ci confronteremo con i misteri più profondi e forti dell’esistenza: la sofferenza, l’indifferenza, l’abbandono, la morte, ma anche con la fede, la speranza, la pazienza, la delicatezza, l’attesa, l’amore che è pienezza di vita, la luce vera che illumina ogni uomo.
Cosa possiamo fare per vivere in pienezza l’Acqua della Vita di questo mese? Innanzitutto, raccogliamo il frutto della quaresima e cerchiamo di comprendere bene i nostri limiti. Cerchiamo di capire qual è il nostro peccato fondamentale: forse l’orgoglio, forse l’ira, o la pigrizia, o la superbia, o l’arroganza? O cos’altro?
Ricordiamoci che uno ed uno solo è il peccato fondamentale. Proviamo a capire bene il nostro. Poi proviamo ad accettarci, malgrado il nostro peccato fondamentale, davanti a Gesù Crocifisso e abbandonato. Cominciamo allora a considerare gli altri e a guadarli con rispetto, con stima, perché anche noi, malgrado il nostro peccato e meritevoli di ira, siamo stati amati fino alla morte e siamo stati invitati a sedere a tavola con chi abbiamo accanto, qui ed ora, per spezzare insieme il pane della vita e bere al calice della salvezza.
Il Signore ci benedica e ci faccia comprendere il mistero luminoso del suo amore per noi.
P. Nicolò
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